16 Dicembre 2014

QUANDO L’OPERA STRATEGICA È VIOLAZIONE DEI DIRITTI

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Manco fossimo l’Uganda dei diritti civili stra-negati dal sanguinario Idi Amin Dada. O manco fossimo il Kwait al tempo del dittatore irakeno Saddam Hussein, con la necessità di proteggere le estese riserve petrolifere dall’aggressione dello scomodo vicino.

Il Governo Renzi vuole assolutamente “consentire” alle multinazionali del petrolio l’estrazione delle quattro gocce di petrolio dal sottosuolo italiano (misere riserve per circa 1 miliardo di barili in tutto – stima Aspo), militarizzando ogni struttura industriale, sistema di trasporto e attività di filiera, collegato o collegabile agli idrocarburi. Temono proteste e osservazioni dei cittadini, perché sanno che per estrarre in Italia devi inquinare la catena alimentare umana e sanitaria, perché si scende fino a 5 km di profondità, in un sottosuolo ricco di acqua dolce e altamente sismico, dove solo chi ha mani legate potrebbe scelleratamente dare permessi estrattivi o di stoccaggio.

Disarmante e preoccupante la semplicità con la quale si può militarizzare la democrazia e la volontà degli abitanti di un territorio: è sufficiente dichiarare in un emendamento che le strutture minerarie e industriali sono «opere strategiche». Un’apparente e innocua dizione che col suo passare quasi inosservata (chi vuoi che non voglia che le opere non siano strategiche?), diventa più pericolosa ed efficace di mille faziosi talk show condotti da Santoro, Vespa, Fazio e Floris messi insieme.

È l’emendamento n. 9, a pagina 101 della relazione governativa al ddl AS 1698, più comunemente noto come Emendamento Tempa Rossa, che trasforma una semplice citazione in un’arma antidemocratica e distruttiva di massa, affermando che diventano strategiche«le opere necessarie al trasporto,allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento di titoli concessori esistenti, comprese quelle localizzate al di fuori del perimetro delle concessioni di coltivazione di idrocarburi ».

L’emendamentoera stato bocciato, anzi, dichiarato inammissibile alla Camera durante l’analisi del decreto “Sblocca Italia”, dopo un intervento della deputata M5S, Mirella Liuzzi, ma è stato ripresentato di soppiatto al Senato che discute e purtroppo chiude l’iter del deprimente #sfasciaitalia renziano. È chiara la volontà di favorire l’illegalità concessa per legge nella quale opera in Italia tutta la filiera del petrolio, sia quella riconducibile alle società italiane, come l’Eni, che alle multinazionali straniere: tanto, con questo burattino di primo ministro in mano a banche e a multinazionali, abbiamo già da tempo perso la sovranità del territorio.

Non è tanto o non è solo una questione di democrazia: questo tentativo di rimettere nottetempo un emendamento dichiarato inammissibile, sperando che noi del M5S non ce ne accorgessimo, è la prova provata che senza la libertà di trivellare dove meglio interessa le multinazionali, senza rispetto della volontà dei popoli e della sicurezza della catena alimentare e sanitaria del territorio, le società petrolifere non avrebbero alcun rientro economico convincente ad estrarre petrolio dalla «pozzanghera» mineraria italiana. Una quantitàirrisoria, impura (troppo piena di zolfo) e troppo profonda che se il Paese applicasse tasse e norme della Norvegia, non vedrebbe una trivella né in terraferma né in mare.

E per “non fare prigionieri” e rischiare che qualche governatore in vena di prodezze tradisca il sistema, l’estensore dell’emendamento ha pensato bene anche di mettere un allettante ricatto, forse suggeritogli dal governatore petroliere lucano Marcello Pittella: la possibilità che le regioni possano raggiungere il pareggio di bilancio con le royalties, anziché usarle per compensazioni al territorio.

Mirella Liuzzi , portavoce M5S Camera dei Deputati della Repubblica  Vito Petrocelli , portavoce M5S Senato della Repubblica